Agira 10/09/2017 – Giornata europea della cultura ebraica
Accoglienza del sindaco On . Greco in aula consiliare del prof. Bucaria e della prof.ssa Sacerdoti. Successivamente, presso la chiesa del SS. Salvatore Salvatore, le relazioni dei due esperti, del prof. Senfett e del sindaco. In chiusura, la visita ai resti dell’antica sinagoga di Agira.
Un’isola nel cuore del Mediterraneo come la Sicilia non poteva non essere nei secoli punto di arrivo di genti diverse, commercianti, navigatori. Un’isola ridente, ospitale, pronta ad accettare il dialogo anche con persone e gruppi di uomini molto diversi per credo, abitudini e cultura. Questa particolare propensione dei siciliani all’accoglienza è durata per secoli e ancor oggi continua con i migranti in arrivo dal continente africano. Così, anche gli ebrei hanno vissuto integrati nel contesto sociale in Sicilia già in epoche antiche, fino a quel fatale 1492 quando ne fu decretata l’espulsione. Nel corso dei secoli avevano costituito comunità fiorenti che giocavano un ruolo importante nella vita economica isolana. Fonte straordinaria e precisa ne è il diario del viaggiatore Beniamino da Tudela che, nella metà del XII secolo, attraversò l’intera penisola italiana diretto in Terra Santa, soffermandosi anche in Sicilia per vari mesi. Dal suo diario si apprende che Messina contava duecento famiglia e Palermo millecinquecento. In quest’ultima città c’era una comunità tra le sette e ottomila anime su una popolazione cittadina di centomila. Dunque una percentuale particolarmente alta che, alla fine del xv secolo, contava in tutta l’isola all’incirca 37 mila persone, delle quali più della metà vivevano in sei città: Palermo, Siracusa, Trapani, Marsala, Messina e Sciacca. Gruppi più piccoli erano però sparsi un po’ in tutto il territorio, anche all’interno, come per esempio qui ad Agira, o lungo la costa.
Gli ebrei erano occupati in diversi settori, in particolare nel commercio della seta e dell’arte tintoria, essendo stati i primi ad introdurre i sistemi di tintoria per drappi di seta. Un secondo settore che li vedeva protagonisti era quello della pesca, sia dal punto di vista armatoriale sia commerciale. Non era invece praticata quell’attività di prestito che diventerà nei secoli successivi in molte altre comunità della penisola pressoché l’unica attività permessa insieme a quella del commercio degli stracci usati. Tra gli ebrei c’erano anche artigiani particolarmente abili che lavoravano il corallo in particolare a Trapani, tanto che erano riconosciuti come ineguagliabili maestri. Dunque gli ebrei erano attivi in molti settori alcuni dei quali, dopo la loro partenza dalla Sicilia, divennero marginali o addirittura scomparvero.
Nei lunghi secoli di permanenza nell’isola gli ebrei non vivevano relegati in ghetti (creati successivamente nel 1555 con la Bolla Cum nimis absurdum) ma si raggruppavano egualmente in propri quartieri, le Giudecche. Qui potevano svolgere vita ebraica in comune, con un luogo di preghiera, una scuola e possibilità di seguire le regole ebraiche (casheruth) per l’alimentazione. Vivere insieme voleva anche dire avere maggiore sicurezza e possibilità di difendersi dal mondo esterno.
Questi lunghi secoli di convivenza con la popolazione locale sono stati oggetto di studi numerosi e approfonditi da parte soprattutto di storici stranieri che hanno sempre amato l’Italia, e in particolare la Sicilia, considerandola un luogo magico.
Il 1492 è l’anno terribile dell’espulsione. I sovrani spagnoli ne imponevano la partenza “pena la morte e la confisca dei beni”. Prima della partenza sarebbero stati sequestrati tutti i loro beni con la motivazione che era necessario soddisfare le pretese del fisco e di eventuali creditori. Entro tre mesi gli ebrei dovevano pagare i debiti, riscuotere i crediti e pagare gli indennizzi alla corona. Con l’ordinanza del 13 agosto 1492 fu stabilito che ogni ebreo potesse portare con sé solo un abito ordinario, un materasso, un paio di lenzuola usate, una coperta, tre tarì e le provviste per il viaggio. La durezza delle condizioni indusse gli ebrei a chiedere condizioni meno terribili e un maggior lasso di tempo. La data dell’espulsione fu dunque rinviata al 12 gennaio 1493: partirono in massa, diretti alcuni nel regno di Napoli, altri in località della penisola più settentrionali ma anche in molti paesi del bacino del Mediterraneo, in particolare Impero ottomano.
Una delle condizioni per rimanere nell’isola era la conversione. Molti accettarono il battesimo. Per averlo dovettero cedere alla corona circa metà dei propri beni. Non fu una scelta facile sotto tutti gli aspetti, morali e materiali, né definitiva perché i conversos furono sempre guardati con sospetto e spesso perseguitati.
Negli anni successivi all’espulsione l’economia dell’isola conobbe un peggioramento tale che i sovrani presto proposero agli ebrei di ritornarvi. Furono così emanati due volte alcuni decreti che ne facilitassero il rientro, nel 1695 e nel 1727. Gli inviti non ebbero però il successo sperato dai sovrani e solo un piccolo gruppo ebraico si stabilì nuovamente a Napoli.
Il video della giornata