Considerazioni sulla storia di Agira (del dott. G. Scornavacca)

Diodoro Siculo, vissuto nel 1° secolo a.C., nel primo libro, cap. 4, scrive:”Il fatto è che noi, nativi della città di Agirio in Sicilia, per i frequenti contatti avuti coi Romani presenti nell’isola, abbiamo acquisito grande familiarità con la lingua latina ed una vasta conoscenza delle vicende che hanno caratterizzato la loro storia passata…” Agirio, patria dichiarata dello storico, ha avuto la sua origine nel paleolitico, come testimoniato dalle grotte trogloditiche sotto il castello e in contrada Capodoro, nei pressi della “centrale”. Ad Agira è legato il mito di Eracle, cui ancor oggi sono dedicate una via e una porta. Centro di origine sicano (si ritiene che sia stata fondata dal capitano sicano Agiride) intorno al IV secolo a.C. è stata ellenizzata (vedi statuette fittili) ed entrata nel circuito siculo tra il V-IV secolo a.C.; conobbe un periodo di floridezza, sotto la tirannide di Agiri, tale da essere considerata seconda solo a Siracusa, di cui fu alleata contro i Cartaginesi di Magone. Anche sotto il dominio dei Romani continuò a godere dell’antico benessere, sino a quando Verre ridusse l’ager agiriniensis in uno stato di estrema desolazione.Diodoro, libro IV, 77:
 

“Si narra che Dedalo, lasciata l’isola di Icaria, navigò alla volta della Sicilia, approdando in quella regione di cui era signore Cocalo; il suo ingegno e la fama che lo circondava furono le ragioni che spinsero Cocalo ad accoglierlo nel novero dei suoi amici”

 

Diodoro, libro IV,78:
“Dedalo si fermò per molto tempo ospite dei sicani alla corte di Cocalo, apprezzato e stimato per l’eccellenza della sua arte”

Dedalo a Creta aveva costruito un toro di legno per Pasifae, moglie del suo amico e re Minosse, perché la donna, costretta da Poseidone ad innamorarsi follemente del toro, che il dio aveva donato al marito perché fosse sacrificata, potesse soddisfare le sue insane voglie. Dall’unione col toro sarebbe nato un mostro, il Minotauro, che venne allevato in un labirinto costruito dallo stesso Dedalo. Temendo però la vendetta di Minosse, Dedalo scappò ad lcaria e quindi in Sicilia (Calogero Miccichè, L’isola più bella, pag. 21). Minosse saputo della fuga di Dedalo in Sicilia, approntò una spedizione e raggiunse Camico, in Sicilia, regno di Cocalo. Dopo degli abboccamenti con quest’ultimo venne però ucciso.

 

Diodoro, libro IV, 79,5:

“Tuttavìa i Cretesi che dopo la morte di Minosse erano rimasti in Sicilia, in assenza di un capo, sì divisero in fazioni e, giacché le loro navi erano state date alle fiamme dai Sicani di Cacato, rinunciarono ai ritorno in patria e decisero di fissare la loro sede in Sicilia; alcuni fondarono una città che dai nome dei loro re prese il nome di Minoa, altri invece si dispersero nell’entroterra, occupando un luogo abbastanza sicuro ove fondarono una città chiamata Engyon dal nome della sorgente che vi scorre. Successivamente, dopo la presa di Troia, accolsero, per la parentela che lì legava, quei Cretesi che erano approdati in Sicilia con Merione, lì resero partecipi della cittadinanza e, utiilzzando come base per le operazioni una città che offriva garanzie dì sicurezza, riuscirono a debellare le genti vicine e a impadronirsi di un territorio sufficientemente ampio. Divennero sempre più numerosi, e, dopo aver edificato un tempio in onore delle Madri, tributarono loro un culto straordinario, abbellendo il tempio con molta offerte votive, che dicono provenissero da Creta, ove le dee erano oggetto di venerazione da parta dei Cretesi.”

“…fu costruito in tota onore un tempio straordinario, non solo per le sue eccezionali dimensioni, ma anche le Ingenti spese previste per la sua costruzione suscitavano l’ammirazione di tutti Non avendo nella toro regione una pietra particolarmente adatta la importarono dai territorio confinante dì Agirio (circa cento stadi dividevano infatti le due città), sebbene la strada per la quale bisognava trasportare i blocchi fosse impervia e del tutto impraticabile. Fu questa la ragione per cui costruirono dei carri a quattro ruote e trasportarono la pietra utilizzando cento coppie di buoi”.

Erodoto, Le Storie, VII, 171, afferma che Minosse sia stato ucciso tre generazioni prima della fine della guerra di Troia, che avvenne nel 1184 a.C., anno in cui Merione di ritorno da Troia fu accolto ad Engyon: quindi quest’ultima sarebbe stata costruita all’inizio del XIII sec, a.C.

 

Diodoro, XVI, 83,3:

“E’ però il caso dì menzionare le città più piccole, tra le quali Agirio, che conobbe una massiva presenza di coloni dovuta alia prosperità agricola di cui si è detto e fu abbellita con la costruzione dì un teatro, certamente il più belio della Sicilia dopo quello di Siracusa, di edifici sacri agli dei, di una sede del consiglio, dì una agorà e inoltre di eccezionali torri e di molti monumenti sepolcrali dì forma piramidale notevoli per dimensioni e pregio artistico”.

La tomba a Tholos di Agamennone, o tesoro di Atreo, sita nei pressi della Rocca di Micene, fu costruita intorno al XV see. a.C. E’ una camera semi sotterranea a pianta circolare con copertura a sezione ogivale, realizzata con massi progressivamente aggettanti (falsa volta), a superficie interna perfettamente levigata. A questa tholos si accede grazie ad un corridoio scoperto (dromos); la tholos custodiva il sarcofago del personaggio illustre; il dromos aveva pareti erette utilizzando pietre quadrettate (stile egeo-miceneo); il portale d’ingresso abbastanza decorato. Questo tipo di tomba somiglia molto (anche se di dimensioni ridotte) all’ambiente semi sotterraneo definito “celletta pagana” da Giuseppe Di Franco nel suo “Glorie di Agira” del 1939, piccola monografia in cui è riprodotta anche la foto di un sarcofago (oggi ancora a Siracusa) trovato tra le rovine del castello: questo ambiente è una tomba a tholos, cioè il sepolcro di forma piramidale di Diodoro?

L’ultimo accenno che Diodoro fa ad Agirio è nel libro XXII, 13,1, quando ci narra che Ierone II, tiranno di Siracusa, dopo aver raso ai suolo Ameselon, città sita tra Agirio e Centuripe (oggi Regalbuto, sovrastata dal monte Amaselo ricco di reperti archeologici) ne divise il territorio “in parte agli abitanti di Centuripe, in parte a quelli di Agirio”.

Ogni qualvolta Diodoro Siculo parla del suo paese natio lo chiama “Agirio*, mai Argirio o Aggirò; questo storico visse nel I sec. a.C., quindi si trovò ben approntato sia il nome della città che quello del monte su cui essa sorge. Considerando che già nel paleolitico l’abitato esisteva, sarebbe più logico pensare che, dopo ì siculi, i primi uomini provenienti dall’Egeo dessero a questa città un nome che ne ricordasse la secolare esistenza: a gheralà, l’antichissima. Questa è infatti la radice etimologica di Agira, costruita siti monte Teia, sulla cima divina, corufè teià. Nel territorio di Agira non sono mai esistite miniere d’argento, per cui l’Argirio di alcuni non è in relazione all’esistenza di eventuale argento ma solo qualche sbavatura di pronuncia. Tra l’altro, l’argirio derivato dal greco argurion poteva andare al sito dove trovavasi la miniera, ma non alla città, tranne che questa città non fosse stata tutta abbellita o rivestita di argento. Tabutazzi è una contrada nel territorio agirino che ha preso questo nome dal greco tà batà azo: ritengo che sia profondo, riferito alla profondità di un vallone che ivi è sito ed è abbastanza profondo (all’epoca sicuramente navigabile come quello adiacente a Morgantina). Gela prese il nome da un ruscelletto che le scorre vicino, ma non tanto perché il ruscelletto avesse un nome, ma quanto perché le acque del ruscello scorrendo davano l’impressione dello stesso rumore di una risata (il nostro Piave addirittura “mormorava”): ghelao in greco vuol dire ridere, i Gelesi di oggi erano prima detti Geloi, quindi Gela: la radice semantica è sempre la stessa. La città di Thermoi prende il nome dalle vicine sorgenti di acqua calda.

Ritengo che l’etimologia e la semantica ci diano anche una mano nella diatriba, ormai secolare, riguardante Engyon. Anche in questo caso Diodoro si è trovato dinanzi ad una città con un suo nome ben preciso, dicendoci soltanto che veniva “chiamato Engyon dal nome della sorgente che vi scorre”: la città non aveva un nome e la sorgente sì? Mi sembra abbastanza strano che gli egeo-cretesi, per la prima volta in Sicilia, nel XIII sec. a.C., conoscessero il nome dì una sorgente mal prima vista e mi sembra ancora più strano che una sorgente avesse un nome proprio. Intanto, sia Cicerone (Virrine) che Plutarco (vite parallele) non parlano dì Engyon ma di Enguio, nome proprio che si avvicina di più alla derivazione etimologica: en (pedio) guon -nel piano della valle-; considerando che la u greca si legge e si pronunzia come la u francese, abbiamo Engiuon. Diodoro stesso sottolinea, tra l’altro, che l’antico dialetto non era di facile interpretazione:

 

Diodoro XIII,35:

“In tempi più recenti ì Siracusani si servivano di altre leggi promulgate da Cefalo al tempo di Timoleonte (339 a.C.} e da Polidoro negli anni dei regno di Ierone, ma nessuno dei due fu chiamato legislatore, giacché quelle leggi scritte nell’antico dialetto (Diocle 412 a.C.), risultavano dì non facile interpretazione”.

 

Su quale piano della valle questa Enguion (scomparsa?) si troverebbe? Qualcuno, pochi anni fa, ha scritto che “Engyon era soggetta allo stesso tiranno di Apollonia, Leptine, e che era poco distante da questa città”.  In realtà Diodoro, XVI, 72,5 dice che Apollonia/Sanfrateilo era “in mano a Leptine, tiranno di Engyon” ciò non vuol dire che Apollonia fosse nelle adiacenze di Engyon. Infatti, Dionisio I’, tiranno di Siracusa, fondatore dì Ancona, Adria e Lissa, aveva in mano queste città, anche se queste fossero distanti più di mille chilometri da Siracusa!

Ad Engìuon si accedeva (o si accede?) per una “strada impervia ed assolutamente impraticabile”, situata a circa 100 stadi da Ageraià. Intanto faccio notare che io stadio attico corrisponde a m 177,60, quello alessandrino a m 184,85, quello cretese a m 154,40. Inoltre Diodoro forse con i numeri non andava d’accordo, considerando che sosteneva che Gelone, tiranno di Siracusa, fosse stato sepolto nella villa della moglie sita a circa duecento stadi dalla città: 36 km (quasi a Catania). Però, poi, quando parla dell’assedio dì Siracusa condotto dal cartaginese Magone, dice che costui, durante l’assedio, distrusse il mausoleo di Gelone: non penso che Gelone assediasse Siracusa da 36 Km di distanza! In ogni caso, oggi misuriamo le distanze tra i vari centri abitati da ingresso ad ingresso, all’epoca il centro della città era l’acropoli, sita sulla sommità di ogni città. Qualcuno ha voluto identificare Engìuon con Nicosia, il mio vecchio vocabolario di greco (Rocci) dice che Egguion (la doppia g in greco diventa ng) era Gangi (ma Gangi secondo studi recenti sarebbe la vecchia Erbita), altri, citando la scoperta di mura de! V-IV sec. a.C. con Troina, sorvolando sul fatto che nessuna di queste è a circa 100 stadi da Ageraià, nessuna strada “impervia ed assolutamente impraticabile” collega la patria di Diodoro con le suddette pretendenti. Cosi Engìuon, abitata dagli Enguini di Cicerone (apud Enguinos) potrebbe ancora esistere, sebbene ridotta a ruderi, collegata ancora con Ageraià da una strada impervia e poco praticabile e a tratti impraticabile, a circa cento stadi (da acropoli ad acropoli) e questa piccola ma ricca cittadina (come dice Diodoro) si trova proprio en  (pedio) guon (nel piano della valle) della sorgente che in essa valle scorreva e scorre ancora, Engìuon si trova proprio al di sopra del piano della valle, nella cui valle scorre ancora l’acqua dì una sorgente che alimenta ancora oggi le riserve idriche dì Ageraià. In questa pianura (planum, quando arrivarono i Romani) nel medio evo furono creati insediamenti rurali che nel tardo latino venivano chiamati curtis: ci troviamo davanti al planum curtis, cioè il vallone del Piano della Corte. E Engìuon? Si trova al di sopra, in alto, a 740 m di altezza, su una rupe scoscesa e difficilmente raggiungibile nella sommità, se non a piedi, anche perché il lastricato che portava alla sommità del monte è per gran parte distrutto o nascosto dalla vegetazione, ma in pochi tratti è perfettamente visibile. Sto proprio parlando del monte Sant’Agata, sulla cui sommità esistono ancora oggi i resti dell’antica città-castello cretese di cui tanto si è discusso a partire dal XIX secolo. Esistono ancora, parzialmente distrutte, le mura e le torri del castello, ma che fa ancora più meraviglia è che, vicinissimo al luogo dove fu eretto il santuario delle Madri di Diodoro o della Magna Mater (fanum) apud Enguìonos o della Mater Idaea di Cicerone, esiste ancor oggi una piccola sorgente che riversa l’acqua in un piccolo laghetto circondato da giunchi che crea un’atmosfera ideale per un luogo di culto.

Dai calcoli fatti prima, si evince che Engìuon fu fondata intorno al XIII secolo a.C. e Ageraià, già esistente nel paleolitico, nell’età del bronzo (II* millennio a.C.) era già una cittadina “moderna” e ben disposta ad aiutare i nuovi vicini cretesi, che sicuramente influenzarono la civiltà in generale, della stessa Ageraià e dobbiamo ritenere che queste due popolazioni si siano abbracciate tra loro, forse stipulando vincoli parentali: si spiegherebbe così la donazione di pietre “adatte”‘ a costruire un tempio da parte di Argeraià ad Engiuon.

Marina Cristaldi in “La Sicilia e le sue Isole” scrive: “ì greci nell’età dei bronzo, che siamo soliti chiamare, in via di generalizzazione, Micenei, erano già arrivati in Sicilia verso la fine del XV secolo a.C.”, la civiltà cretese-minoica fiori intorno al 2000-1400 a.C. e sua espressione sono i geroglifici non traducibili; la cultura e la civiltà micenea risaie invece al 1400-1000 a.C. e presenta un sistema di scrittura detto lineare (che è stato tradotto). “Le pitture della Grotta del Genovese a Levanzo sorto una manifestazione artistica della Sicilia antica: presentano figure umane nello schema di danza e idoli a forma di violino legati al culto della Dea Madre e ai riti agrari connessi con la rivoluzioni neolitica”. La Dea Madre o Grande Madre di origine orientale, cretese, è rappresentata come una donna tra due fiere rampanti o come una colomba tra due cotenne o come una donna col seno ignudo che tiene nella mano un serpente. L’età de! bronzo in Sicilia è attestata da sepolcreti con tombe scavate nella roccia, situate in genere lungo un percorso stradate: ad Engiuon sono svariate le tombe visibili scavate nella roccia, altre (forse di più) potrebbero essere evidenziate se si decidesse di effettuare scavi non clandestini. Sono presenti anche innumerevoli lastroni di roccia, abbastanza bel levigati, sicuro “coperchio” di tombe a dolmen.

 

Ritornando al tema principale, ritengo che non possano esserci dubbi sulla collocazione di Engiuon e sulla sua ancor oggi reale esistenza: quale altra cittadina potrebbe altrimenti essere quella posta sul monte Sant’Agata? Inoltre, del tempio delle Dee Madri, costruito con la pietra adatta donata da Ageraià (pietra arenaria della quale esiste ancora una cava) esistono ancora oggi delle tracce ad Engiuon. Il culto delle Dee Madri è stato trasferito da Creta, dove in realtà esisteva il culto di una soia Dea Madre, che però era raffigurata In tre modi diversi, come prima evidenziato, A Palmira, In Siria, la suprema divinità era Bel, dio onnicomprensivo, la cui consorte gli Aramei onoravano come Hadat e Atagartìs, i Fenici come Astarte, gli Arabi come Allat: gli Arabi di Palmira chiamavano questa dea “Mia Signora” e “Signora del tempo”, “Fortuna delle tribù”, come se si trattasse dì tre divinità diverse. Noi abbiamo la SS. Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono l’espressione di un unico Dio, Dio onnipotente.

Astarte, dea madre del mondo fenicio, oltre che in veste di guerriera su un carro, è rappresentata anche come una madre nuda che si spreme il seno. Iside è raffigurata pure in atteggiamento di spremersi il seno per fertilizzare le terre di Egitto col suo latte. Anche una raffigurazione della Dea Madre cretese era col seno nudo.

Ecco quindi che “L’indagine antropologica sostiene che (Santa) Agata sia la trasformazione in chiave cristiana di antiche divinità pagane, di Iside, delie Veneri locali: Venere Ercinia-Astarte, Demetra e la figlia di Persefone-Core. L’archeologo (Cìanceri) scrive l’archetipo Iside appartiene alla categoria delle Grandi Madri, in quanto dea della fertilità che insegnò alle genti d’Egitto l’agricoltura (Sicilia Esoterica, Marinella Fiume pag, 112). Ecco perché il monte su cui sorge Engiuon viene detto monte Sant’Agata e su questo monte, dove sorgeva il tempio delie Dee Madri, erano sino a poco tempo addietro i resti della chiesa dì Sant’Agata. Come mai in territorio di Agira, fuori dai suo abitato, in aperta campagna, era stata costruita una chiesa intitolata a Sant’Agata, che ha addirittura dato il nome al monte su cui sorgeva, alla luce, appunto, del fatto che Agira un culto per questa Santa non lo ha mai avuto? Ritengo abbia ragione Marinella Fiume nel sostenere che è avvenuta una trasformazione in chiave cristiana di divinità pagana: la statuetta cretese dieta dea dei serpenti è coi petto ignudo; Astarte è raffigurata nell’atto di spremere il suo seno nudo e lo stesso Iside: Sant’Agata è rappresentata col petto nudo o con le mammelle su un piatto. Sant’Agata, tra l’altro, è invocata dalle donne bisognose di allattare al seno. Quale migliore Santa, quindi, per sostituire un culto pagano? Il culto di Sant’Agata è logicamente subentrato dopo il IV secolo d,C., cioè dopo il martirio della Santa. Scomparve Engiuon e comparve monte Sant’Agata.

 

Saltando di palo in frasca, ma non del tutto, volevo accennare alla Aron Ha Kodesh, unica in pietra arenaria presente in Sicilia, che serviva per conservare la Torà e che faceva parte Integrante della sinagoga di Agira, Bet Ha Midrash. Si ritiene che questa sinagoga fosse da localizzare nell’oratorio di S. Croce, dove, appunto, nel 1987 è stata trovata montata l’Aron, che oggi trovasi nella chiesa del SS. Salvatore, con, sicuramente, il concio in alto a destra (la parte meglio conservata) montato all’incontrario: in esso infatti non c’è più traccia della scrittura riportata da Isaia e ancora percepibile nel concio in alto a sinistra, piuttosto danneggiato. In questa presunta sede della sinagoga non vi sono sui muri tracce degli scudi di Davide o dei Menoroth (candelabri ebraici a sette bracci), simboli che venivano comunemente scolpiti sulle pareti della Bet Ha Midrash; mancano tracce della vasca per abluzioni, bagni, forni comuni per azzimare Pesach, macellerie rituali, scuole e ospizi per viandanti di passaggio. Non c’è traccia delle dodici finestre previste nell’ambiente sinagogale dalle prescrizioni del Sefer Ha Zohar (libro dello splendore, diffuso tra te comunità ebraiche delia Sicilia), E dire che l’Aron di Agira è identica a quella di Girone In Spagna, riportando la stessa iscrizione di Isaia.

La sinagoga di Girona nel 1492, anno della cacciata degli ebrei dai territorio spagnolo (la Sicilia era sotto la dominazione spagnola) a cura di Ferdinando il Cattolico, fu muratal per cui il suo ritrovamento e restauro è stato facile e possibile. La sinagoga di Agira fu distrutta. Alcuni ebrei agirini riuscirono a traslare l’Aron Ha Kodesh dalla contrada Maimone all’oratorio di S. Croce, adatto a sinagoga, utilizzando nascostamente quel luogo come una Bet Ha Midrash sino più o meno ai giorni nostri (come gli antichi cristiani facevano con le catacombe romane). È assurdo il pensare che gli ebrei venissero tutti cacciati via da Agira e ne rimanesse in piedi il loro simbolo di culto!

Invero ad Agira, sino a qualche anno fa, vi sono stati gli ebrei, che poi col passare del tempo si sono convertiti al cristianesimo. Ecco perché la sinagoga di Agira non ha le caratteristiche e le dimensioni delle sinagoghe prescritte dal Sefer Ha Zohar, perché doveva restare un luogo più o meno nascosto e ignoto alle autorità, vista la caccia aperta agli ebrei. Non è difficile pensare che la sinagoga esistente sino ai 1492 fosse costruita secondo i santi canoni e possibilmente ad immagine e somiglianza con quella catalana Girona, visto che l’Aron è uguale a quella di Girona. Sicuramente anche quella di Agira sarà stata dedicata al santo Rabbi Maimon, tanto onorato e venerato in Spagna (uno dei più importanti rabbi, assieme al figlio Abu Imran Moshe ben Maimon, vissuto in Spagna, un arabo-ebreo): per accanire il popolo (cristiano) contro gli ebrei, questi saranno stati additati come nemici del cristianesimo e di Gesù, demoni o indemoniati, per cui San Filippo di Agira incatenò il diavolo Maimon(e) con un pelo di capello e lo rinchiuse dentro le acque della fontana dell’odierna Maimon(e). È una strana, romanzata coincidenza, ma proprio perché strana potrebbe essere vera e spiegarci tante cose, compresa quella della pietra arenaria con cui è stata costrutta l’Aron, che in contrada Maimone è presente e che qualche millennio prima avrebbe potuto, data la facilità di lavorazione presentata da questa pietra, costituire la “pietra adatta” (di cui parla Diodoro) alla costruzione del tempio delle Dee Madri.

 

Ultima annotazione – Diodoro, libro XIV, 95: ‘il cartaginese Magone attraversando il territorio dei Siculi” fissò il campo in una zona vicino ad Agirio lungo il corso del Crisà (- Dittaino), non lontano dalla strada che conduce a Morgantina. Questa sede dovrebbe corrispondere con l’attuale rocca di Zagaci (o Zaaci) dal longobardo gahagi, che vuoi proprio dire zona recintata o fortificata ad uso del signore. Ivi, mi è stato raccontato, a seguito dei soliti scavi clandestini, sono stati ritrovati reperti archeologici.

Dott. Giuseppe Scornavacca